Il Tradimanto e le differenze tra uomini e donne

In questo articolo parleremo delle differenze tra il tradimento degli uomini e quello delle donne. Gli uomini e le donne si distinguono anche quando vengono meno alla fedeltà che si sono giurati. Le trasgressioni femminili rispondono a motivazioni affettive mentre quelle maschili al bisogno di affermazione.

Se una coppia vuole durare nel tempo dev’essere pronta a non capitolare davanti all’infedeltà del partner. Anzi, deve guardare con realismo a tale inciampo, senza semplificazioni né eccessive rigidità, facendo prevalere il valore di un legame.

In un libro-intervista di qualche anno fa, il grande filosofo e analista junghiano, James Hillman, usava queste suggestive espressioni a proposito del nostro rapporto con la malattia psichica:

«Le chiamiamo patologie perché abbiamo l’idea che la salute non contenga il disturbo. Forse, invece, salute psichica significa accogliere questi mormorii, del corpo e dell’anima, che ci mantengono consapevoli della pienezza del nostro essere. Sentiamo di avere un ginocchio, solo quando ci fa male. Altrimenti, camminiamo per strada senza avere un ginocchio. Sappiamo di avere un piede, solo quando nella scarpa c’è un sassolino che ci dà fastidio, altrimenti camminiamo e via. Non sentiamo le parti del corpo. Sono le zanzare ad aiutarci a ricordare queste zone dimenticate. Forse, è per questo che gli dei hanno creato piccoli insetti volanti che pungono e mordono! Il disturbo è un modo per diventare sensibili».

Potremmo applicare la metafora dello studioso americano, nella sua interezza, alla lettura del fenomeno dell’infedeltà nella vita di coppia, sia perché può essere identificata come un elemento rivelatore del suo stato di salute, sia per il corredo di omertà che questo comportamento trascina con sé, omertà che non giovano soprattutto nella fase di preparazione alla vita a due.

La coppia è un luogo di molte risorse, ma nel contempo è la sede in cui l’aggressività può raggiungere livelli inimmaginabili. All’interno di questo coacervo di risorse e di violenze, l’infedeltà non è certamente un ordigno micidiale. Ora, uno degli errori di impostazione, anzi l’errore per eccellenza, che riscontro quando comincio una collaborazione con un soggetto istituzionale per l’accompagnamento dei fidanzati al matrimonio, è l’atteggiamento “ideologicamente” positivo e ottimistico nei confronti della vita matrimoniale.

Si avverte una sorta di speranza preconcetta, anche in molti operatori laici che si cimentano in questo compito, speranza che li spinge involontariamente a parlare di ciò che dovrebbe essere la coppia invece di parlare delle molteplici difficoltà che la vita a due, e poi la vita con i figli, presenta tutti i giorni. Si coglie nettamente l’impressione che coloro i quali sono impegnati nella guida di questi momenti di preparazione, confidino in una di “grazia di stato”, quasi che il semplice accesso alla vita matrimoniale garantisse l’immunità dai momenti difficili o dai traumi.

Questo ottimismo per partito preso fa sì che il percorso di formazione si risolva sovente in un’occasione sprecata, perché si è mancato di fare conoscenza con quei momenti particolari, e non certo marginali, che possono impastarsi con la normalità della coppia, tra i quali è da collocare senza dubbio l’infedeltà.

Tali criticità potenziali, oscurate dall’accentuazione posta sugli aspetti positivi, rendono pericolosa proprio la primissima parte del matrimonio, quando l’illusione del possesso di quella “grazia di stato” cui si accennava poc’anzi, può fare percepire come catastrofico e irrimediabile un tradimento da parte del proprio sposo o della propria sposa. Non solo, ma una volta che il matrimonio comincia a dipanarsi, i coniugi, perché ammaestrati a senso unico, finiscono per avvertire uno scarto crescente tra l’ideale che è stato loro presentato e la cruda realtà, verso la quale si trovano impreparati. Ora, proprio perché l’infedeltà ha assunto un peso statistico rilevante e proprio perché la coppia, se vuole durare, dev’essere pronta a non capitolare di fronte a fatti anche di estrema gravità, è necessario guardare con una certa crudezza a questo inciampo, liberandolo dalle valutazioni sommarie ma improduttive cui di norma è sottoposto.

Come si verifica per molte esperienze umane, che dovrebbero essere indagate attraverso gli strumenti dell’osservazione e del ragionamento, l’infedeltà è diventata anch’essa una categoria generale, di cui si conoscono sempre meglio gli aspetti sociologici, morali e statisti, mentre si continua a guardare con un misto di superficialità e di moralismo alle sue singole espressioni.

Accade così per tutta una serie di manifestazioni che ci riguardano, in omaggio a una tendenza alla semplificazione che ci rende sempre meno individui e sempre più componenti di gruppi omogenei. Se volessimo rubare una similitudine al mondo della fisica, potremmo dire che si tende a considerare la luce prevalentemente nella sua funzione di onda, trascurandone i fotoni, ossia le particelle che la compongono.

Quando ci si accosta a un qualsiasi argomento in questi termini, anche il giudizio che si dà di esso non può che divenire generale, si finisce allora per condividere valutazioni che mancano di sfumature e si rimane lontani dal bersaglio. Può essere vero che la Terra fotografata dallo spazio offra un’immagine suggestiva ed emozionante, ma vedere da lontano la sua conformazione, i suoi colori, la distribuzione tra acque e terre emerse, non ci dice nulla delle creature che la abitano.

Di norma, a questo primo criterio massificante, se ne affianca un secondo che, lungi dal rendere più facili le cose, le carica del peso insopportabile della soggettiva. Si tratta della tendenza a giudicare la trasgressione altrui partendo dalla propria condizione particolare. Se l’osservatore, poniamo, vive una situazione di coppia gratificante con sentimenti attrattivi ancora intatti verso il partner, tenderà a universalizzare il proprio modo di sentire positivo, al massimo concedendo che la vita di coppia sia ricca di fatica, ma rimanendo comunque dell’idea che con la buona volontà si possa rimediare a tutto, come avviene appunto nella propria coppia.

In realtà non è la stessa cosa essere ancora attratti dal proprio coniuge oppure provare per lui sentimenti di indifferenza quando non di ostilità o di repulsione istintiva. Tra l’uno e l’altro versante si pone un crinale aspro, insuperabile, che modifica radicalmente la disposizione d’animo e la valutazione dei fatti. Due atti di infedeltà apparentemente simili, possono essere originati da motivazioni opposte.

Due casi di tradimento per incominciare

Alla radice di molti interventi, anche pastorali, approssimativi vi è spesso questa tendenza autoreferenziale, che ignora il reale grado di malessere delle specifiche situazioni perché si appella a delle condizioni soggettive arbitrariamente universalizzate quando non a delle posizioni ideologiche radicali, come quella che vuole il matrimonio come cosa buona in sé. Questa è una finzione pericolosa, perché il matrimonio è una semplice potenzialità, sia pure enorme, un contenitore vuoto che può essere riempito in una miriade di maniere. Non tutte positive.

Una donna, sposata da pochi anni racconta che il marito le era divenuto estraneo in breve tempo, si erano sposati frettolosamente («l’ho conosciuto in agosto, a novembre ero già incinta»). Dopo poco tempo le cose erano drasticamente cambiate («la mattina al risveglio stavo male, sentivo un rifiuto sia fisico che emotivo verso la persona che dormiva accanto a me»).

A questa falsa partenza, che aveva precipitato l’interessata in un profondo stato di angoscia, era seguita una relazione con un collega d’ufficio. Difficile dire a questa ragazza, vittima di un grave errore di valutazione suscettibile di compromettere la sua intera vita, che con la buona volontà si risolve tutto. Ancora più difficile appellarsi al senso di responsabilità che essa dovrebbe mantenere in ragione della fresca maternità, poiché quando i sentimenti spariscono così in fretta risulta evidente che si trattava di una relazione a rischio.

Di passaggio annoto che questa coppia è stata regolarmente sposata con rito religioso. Ancora la finzione della grazia di stato ci prende la mano e miete vittime. Un sacramento può valorizzare ciò che esiste, ma non può inventare ciò che non si vede neppure all’orizzonte.

Se lo valutiamo secondo le regole dell’approccio per categorie generali, quello appena riferito diventa semplicemente un caso di infedeltà. Un prodotto etichettato e immagazzinato insieme ad altri prodotti ritenuti (chissà perché) omogenei, e magari depositato sullo stesso scaffale dove erano stati conservati i tradimenti di Marco, ventottenne infedele abitudinario, malgrado fidanzato a una splendida coetanea.

Il movente dell’azione di Marco è nelle opportunità («faccio un lavoro che facilita i contatti con le donne e mi è difficile dire di no a tutto quel ben di Dio»), un movente, dunque, assai diverso da quello della giovane sposa cui abbiamo accennato, eppure entrambi sono finiti nel medesimo contenitore perché entrambi infedeli.

Linee di tendenza

L’accostamento per categorie porta ovviamente a una omogeneizzazione del giudizio che, nel caso dell’infedeltà, rimane di segno negativo. Non si può negare infatti che il tradimento, inteso come categoria, rappresenti un elemento di frattura nella coesione sociale, che vada prevenuto nell’interesse dei soggetti coinvolti e dell’intera collettività.

L’osservazione clinica però, che si fonda sulla valutazione particolare di ogni singolo caso, raramente sospinge a considerazioni sommarie, anche quando la stragrande maggioranza delle persone dà per certo che taluni modi di agire debbano essere condannati comunque.

L’atteggiamento riflessivo e pragmatico della clinica, non implica un rovesciamento del giudizio normalmente riservato ai casi di infedeltà, ma neppure un’adesione acritica alle posizioni colpevoliste, semplicemente si limita a prendere atto dell’impossibilità di ricondurre ogni singolo episodio di infedeltà coniugale all’interno di una griglia predefinita che, quand’anche fosse finemente tarata, non riuscirebbe a rendere conto della varietà di sfaccettature che si nascondo dietro a questi comportamenti.

Sovente, dietro azioni ritenute socialmente riprovevoli, troviamo situazioni impastate di solitudine e di disperazione, vite sospese nell’apatia che si sviliscono fino a perdere la stessa voglia di esistere. Questo tumultuoso sottofondo ricco di scenari mai uguali a sé stessi, può affiorare solo guardando i casi uno alla volta, come accade appunto della dimensione clinica. Un sottofondo che, insieme alle specificità, è in grado di farci cogliere anche alcune “ripetitività”, linee di tendenza tra le quali spicca una fondamentale cesura nelle motivazioni che sostengono l’infedeltà maschile e quella femminile. Linee di tendenza che, proprio per restare coerenti con le premesse, non vanno però assunte come certezze.

Incontro tra i sessi

Sappiamo, proprio grazie all’osservazione individuale, che difficilmente le donne arrischiano un tradimento in presenza di una situazione coniugale gratificante o comunque non sufficientemente grave da giustificare uno schiaffo al coniuge. Nel maschio, invece, neppure una relazione coniugale funzionante mette al riparo dalla scappatella. Di norma, le trasgressioni femminili sono sostenute dalla ricerca di comprensione, mentre quelle maschili sembrano rispondere a bisogni più vicini all’affermazione del proprio sé. Quindi componenti più affettive nell’infedeltà femminile, maggiori rimandi alla volontà di potenza quando è l’uomo l’infedele. Per tale ragione, se è la donna a tradire risulta più difficile un’eventuale tentativo di riavvicinamento nella coppia, poiché nella maggior parte dei casi il tradimento arriva solo quando lo stato di crisi è piuttosto avanzato e dunque esso segnala una frattura già quasi consumata. Per ragioni speculari il lavoro di ricucitura diviene meno impegnativo quando l’infedeltà riguarda il marito.

Per il maschio, subire un tradimento, ancora oggi, malgrado i presunti progressi avvenuti sul piano culturale, rappresenta la messa in discussione della propria virilità da cui scaturiscono sentimenti di profonda umiliazione capaci di condurre a gesti di aggressività fisica anche persone altrimenti piuttosto tranquille.

Lo testimoniano alcuni comportamenti ricorrenti nel maschio dopo un tradimento subìto, come la richiesta insistente alla moglie di particolari molto precisi sui rapporti sessuali con “l’altro”, attraverso domande che chiedono conto dell’abilità del rivale e della sua dotazione sessuale, in modo da impiantare un paragone con la propria “offerta”. Una curiosità che può giungere fino all’ossessione e, addirittura, toccare retroattivamente tutta l’esperienza sentimentale del coniuge.

Una donna di 26 anni, sposata da pochi mesi, si lamentava dell’insostenibilità della situazione coniugale, determinata dalla continua richiesta di informazioni da parte del marito, a proposito dell’ultimo fidanzato di lei. Le domande erano specifiche, legate alle prestazioni sessuali dell’ex e al piacere che ne ricavava lei. La moglie, persona influenzabile e facile preda del senso di colpa, non riusciva a sfuggire al gioco contorto e si prestava a rispondere sempre pazientemente, ma questo avvitava la questione su sé stessa poiché il marito viveva tale disponibilità a soddisfare i quesiti come la prova della bontà delle proprie ragioni, così le domande divenivano sempre più avvilenti e lesive della dignità della sua donna.

L’atteggiamento passivo di questa sposa, peraltro persona di rettitudine notevole, ci immette direttamente nel cuore di una delle più grandi contraddizioni che vigono nell’incontro tra i due sessi. Si tratta della pretesa, asimmetrica e scarsamente sensata, di valutare in maniera difforme il numero di relazioni avute in passato dal maschio e dalla femmina. A parità di condizioni, il maschio sentimentalmente vivace è considerato con maggiore indulgenza di una ragazza. Da tale pretesa culturale immotivata si passa rapidamente ai precipitati emotivi e comportamentali, dove è la donna a trovarsi in soggezione e dunque a scontare maggiormente il peso del senso di colpa che conduce sovente a situazione grottesche.

Quando un marito infedele scoperto comincia con la consueta cantilena secondo cui il tradimento sarebbe stato determinato dall’insufficiente disponibilità sessuale della moglie, sia in termini quantitativi sia in termini “tecnici”, la moglie invariabilmente “abbocca”, non solo cercando di concedersi con maggiore frequenza, ma mettendo anche a disposizione parti di sé che fino ad allora aveva strenuamente difeso da ogni tentativo di effrazione.

Per sfuggire all’angoscia

La logica, in questi casi, viene rovesciata interamente e il colpevole di infedeltà si ritrova con dei premi insperati. L’esperienza dice che simili cedimenti non solo non risolvono i problemi della coppia, ma il più delle volte li aggravano, perché rischiano di incrementare le richieste dell’altro e il suo senso di impunità.

 

Per alleviare le conseguenze di un tradimento si può aprire la strada alla sua reiterazione.

 

Dicevamo che l’osservazione ravvicinata di innumerevoli episodi di infedeltà, ci presenta situazioni personali di estrema gravità, a cui è difficile riservare giudizi moralisti.

«Prima di conoscere Marco mi trascinavo, ma soprattutto mangiavo. Divoravo qualsiasi cosa mi capitasse a tiro. Era l’unico modo per non sentire tutte uguali le mie giornate, così ero piombata in una depressione nerissima, accompagnata da una bulimia da cui non riuscivo a difendermi in alcuna maniera. A casa, almeno formalmente, tutto procedeva bene tra me e mio marito, anche se io non lo desideravo più da lungo tempo. Mi sentivo appiattita, mi spegnevo e neppure il nostro unico figlio mi dava delle grandi motivazioni. Diverse volte avevo pensato al suicidio, cui avevo rinunciato solo in omaggio a quel senso del dovere, soprattutto nei confronti del lavoro, che i miei genitori mi avevano istillato come se fosse la cosa più importante della vita».

Un adulterio, dunque, poi trasformatosi in una relazione semiclandestina, aveva capovolto la condizione interiore di questa donna, restituendole tutte le motivazioni che una vita piatta e abitudinaria, senza sussulti e senza novità, le aveva sottratto.

Non si tratta certo di una soluzione ideale, ma vi sono stati degli indubbi benefici, almeno se restringiamo la valutazione solo all’interesse di questa donna, sfuggita a una depressione piuttosto grave. Nel caso specifico le probabilità di un gesto autolesivo erano piuttosto alte così come, al contrario, erano decisamente scarse le possibilità che la donna superasse la patologia che l’affliggeva. Si trattava infatti di uno di quei casi “esistenziali”, più che clinici, determinati da una scontentezza di fondo verso la vita in generale e verso la vita coniugale in particolare.

Oggi vedo ancora la signora, serena come più non potrebbe essere nonché in perfetta forma fisica. Si può affermare, senza cadere in semplificazioni inopportune, che in assenza dell’incoraggiamento scaturito dalla relazione extraconiugale, lo stato di salute della protagonista di questa vicenda sarebbe molto critico. Ovviamente stiamo considerando solo una faccia del prisma, quella che riguarda la nostra protagonista ma, ed è questo il nodo fondamentale della questione, se apriamo il grandangolare il rapporto costi-benefici diventa più incerto. Il marito, infatti, intuisce che il matrimonio è agli sgoccioli e cerca di difendersi dall’angoscia della perdita evitando di affrontare in maniera diretta la questione delle prospettive. Ci sono segnali che fanno intuire che, alla perdita della persona amata, preferirebbe tollerare la presenza dell’altro. Il figlio, a sua volta, come tutti i figli di coppie in difficoltà, comprende più di quanto non appaia agli adulti, e non manca di trasmettere segnali di disagio.

La situazione ambientale venutasi a determinare intorno a questo adulterio “terapeutico” è decisamente drammatica. Gli attori coinvolti sono innumerevoli e tutti suscettibili di subire effetti durevoli, mentre non si possono considerare tali i benefici che la signora sente di avere ottenuto e presto o tardi il gioco tornerà al punto di partenza. La coperta, come si usa dire, è sempre troppo corta e non c’è mai salvezza personale che non tocchi interessi costituiti, ma soprattutto non ci sono risposte finte a problemi veri.